Presentato il rapporto di Agenas
I nuovi risultati del PNE 2025 offrono uno spaccato chiaro: quando il sistema sanitario dispone di riferimenti normativi solidi, strumenti di misurazione affidabili e capacità di leggere i dati nel tempo, la qualità migliora. Tuttavia, la distanza tra territori rimane ampia — soprattutto su tempestività dei trattamenti, appropriatezza clinica perinatale e continuità assistenziale — segno che il vero punto di svolta non sarà solo organizzativo, ma soprattutto data-driven. Il PNE ci mostra infatti due movimenti paralleli: da un lato il miglioramento degli esiti dove i volumi sono concentrati e processi e competenze sono stabili; dall’altro una fragilità persistente in molte aree del Paese, dove la frammentazione penalizza i cittadini.
È qui che la sanità territoriale, ripensata alla luce del DM 77, deve diventare realmente operativa: prevenzione, presa in carico continuativa, gestione dei cronici e integrazione socio–sanitaria non possono funzionare senza una infrastruttura informativa matura. La vera sfida non è raccogliere “più dati”, ma passare dai big data ai “better data”, come Elisa Ervas ci ricorda da tempo: dati più puliti, più granulari, più collegati tra loro. Perché senza standard, interoperabilità e qualità del dato, la telemedicina resta un’isola, il monitoraggio degli esiti rimane parziale, e la capacità delle Regioni di programmare in modo equo si indebolisce.
La trasformazione digitale della sanità italiana passa da qui: un ecosistema di territorio capace di dialogare, prevenire, anticipare. E strumenti che rendano possibile mettere questi dati “al lavoro” per supportare decisioni cliniche, direzionali e di programmazione. Il PNE dimostra che quando i dati sono utilizzati bene, il sistema migliora. La sfida ora è fare in modo che questo accada ovunque, non solo in alcune aree del Paese.
